Avete letto, sentito i miei stati d'animo mentre mi preparavo a quello che sicuramente per me è stato un momento importantissimo, al quale avrei voluto arrivare al meglio, dando il cento per cento, e al quale invece sono arrivata attraverso un periodo difficile e doloroso.
Mentre lavoravo ai pezzi che avrei portato con me a rappresentare il mio lavoro ho sentito, come spesso mi capita, l'esigenza di tirare fuori i miei sentimenti e le mie emozioni. Mi ripeto sempre quanto sono fortunata ad avere questa valvola di sfogo per quello che provo, anche se non sempre è facile o immediato.
Così, mentre il mio tavolo era un caos totale, e in giro avevo tante cose iniziate da portare a termine e non riuscivo a lavorare, ho ripensato ad una conversazione, uno di quei piccoli input che ti tieni dentro a volte anche per mesi, e dentro di me si è scatenato tutto. Un pezzo di lamina, il martello, la morsa, senza sapere dove andavano le mie mani, quasi senza vedere. E mentre piegavo, rompevo, piangevo, martellavo, veniva fuori quello che è dentro di me, il mio cuore aperto e spezzato. Il metallo aperto come una ferita.
Quelle ore sono state una rivelazione. Perchè se è bello e gratificante poter trasferire le emozioni belle e positive dentro ad un oggetto, non avevo idea di cosa volesse dire portarvi dentro tutto il mio dolore e la mia rabbia. Potesse pulsare quel pezzo di metallo, potesse respirare... Non dimenticherò, non voglio dimenticare, cosa è stato modellare quel pezzo di rame e poi, alla fine, tenerlo in mano. Una sensazione dolorosa ma stranamente confortante.
Ma questo pezzo di rame doveva ancora essere tradotto in qualcosa di portabile, qualcosa che potessi indossare sempre, per non dimenticare. Il mio amato rame dalle sfumature calde, come calda era la mia rabbia e le mie lacrime, volevo che avesse anche qualcosa di freddo e prezioso incastonato all'interno, come la determinazione che sto cercando, e la fermezza che mi manca.
L'ho finito con l'argento, con la luce fredda di quattro rivetti e di una sottile catenina. E poi ho voluto anche che mi parlasse, che mi parlasse non solo con la sua forma, non solo con il suo significato.
Ho inciso sul retro il senso che ha per me. Per non dimenticare mai cosa è il dolore. Cosa è la perdita. Cosa è la stupidità. Cosa sono le illusioni.
Poi l'ho preso tra le mani, questo simbolo pagano della mia stupida avventura umana. Lo indosso sulla pelle e sapere che è lì mi ricorda che per chissà quale magia o dono del destino sono capace anche di questo. E non solo di sbagliare.